Utilizzo di pesticidi e moria delle api. La correlazione tra i due fenomeni è ormai stata ampiamente dimostrata. Per questa ragione, ad esempio, l’impiego di antiparassitari tossici per le api, durante il periodo della fioritura è proibito e, a fini preventivi, l’Unione Europea ha deciso di restringere fortemente l’utilizzo dei neonicotinoidi, particolarmente letali per le api mellifere.
Uno studio sui residui di insetticidi e fungicidi nel polline – condotto da Sergio Angeli e Riccardo Favaro, entomologi, docenti e ricercatori alla Facoltà di Scienze e Tecnologie su otto apiari (o postazioni) tra le province di Bolzano e Trento – ha permesso di stabilire che il loro utilizzo nei meleti contamina anche le piante che sorgono al di fuori della zona coltivata. L’originalità e l’importanza della ricerca – Botanical Origin of Pesticide Residues in Pollen Loads Collected by Honeybees During and After Apple Bloom (Origine botanica dei residui di pesticidi nella bottinatura durante la fioritura dei meli, ndt.), pubblicata sulla rivista scientifica Frontiers in Phisiology – consiste nel fatto che per la prima volta restituisce una fotografia fedele della dispersione dei pesticidi nello spazio in cui si muovono le api.
L’innovatività del processo di analisi
La metodologia utilizzata per la ricerca è basata sul colore del polline: è questa caratteristica che permette di determinare con certezza fino a dove si spinge la contaminazione da antiparassitari. “L’ape normalmente raccoglie polline da circa 150 fiori ma è fedele alle piante che visita durante il medesimo volo, ovvero va sempre a bottinare piante della medesima specie. Noi, suddividendo il polline raccolto dalle singole api di in base al colore, capiamo su quale tipo di pianta si è posata l’ape per recuperare il nutrimento. Successivamente andiamo a verificare se quel determinato polline è contaminato da prodotti chimici e da quali”, spiega Sergio Angeli che è al quarto posto al mondo per citazioni su Google Scholar nel settore della ricerca sulle api mellifere.
La ricerca è stata possibile grazie alla collaborazione degli apicoltori altoatesini e trentini che hanno messo a disposizione gli apiari. All’interno di questi sono state istallate trappole polliniche, griglie di plastica con fori di un diametro molto ristretto. Quando l’ape li attraversa, strusciandosi contro le pareti del foro perde le pallottole di polline raccolto durante la bottinatura. Quello che rimane nella trappola durante una giornata di bottinatura, può essere raccolto dai ricercatori ed utilizzato per effettuare l’analisi chimica e palinologica (determinazione dell’origine botanica del polline).
In precedenza, l’analisi del polline era svolta in maniera indifferenziata. Tutto il polline raccolto veniva prima macinato insieme e poi esaminato. Per individuarne l’origine botanica, i due entomologi hanno invece suddiviso i campioni di polline in tre sottogruppi, a seconda della gradazione di colore: uno di colore verde chiaro, del melo; un secondo arancio, del tarassaco (tipica pianta dei meleti); il terzo rappresenta il residuo, ovvero quello che rimane tolti i primi due colori e che non può essere caratterizzato.
L’analisi dei campioni illumina l’effetto deriva
Valori di tossicità particolarmente elevati nel polline di tarassaco sono stati trovati durante la fioritura del melo nei campioni raccolti a Tirolo e Laives, mentre nel post fioritura in quelli di Malè, Croviana e Tirolo. Sorprendentemente, i pollini provenienti da piante erbacee ed arboree selvatiche o urbane al di fuori dei meleti hanno valori di tossicità pari ed indistinguibili dai pollini di melo e tarassaco raccolti nei meleti, suggerendo una deriva dei fitofarmaci nei territori circostanti.
Per calcolare il potenziale effetto tossicologico sulle api adulte dei residui di prodotti chimici contenuti nel polline i ricercatori hanno calcolato un quoziente di rischio per il polline, il Pollen Hazard Quotient. Questo numero combina la concentrazione con la letalità dei residui di pesticidi come il Phosmet, molto nocivo per le api, o altri come il Flonicamid o l’Imidacloprid. In alcuni campioni questa presenza è preoccupante, fino a 1,6 volte la DL50 ovvero la dose che somministrata una sola volta è in grado di provocare la morte del 50% del gruppo di apidi riferimento entro 24 ore.
Biomonitoraggio della qualità ambientale attraverso l’analisi del polline
Permettere la minimizzazione degli effetti negativi degli antiparassitari sull’ecosistema rappresenta una delle maggiori sfide con cui deve confrontarsi un’agricoltura avanzata improntata al principio della sostenibilità ambientale. Per arrivarci, si potrebbe, in futuro intensificare questo genere di campionamenti e verificare se nelle zone sottoposte a coltivazione biologica questi dati si riducano.
“Questo lavoro di ricerca fondamentalmente apre la possibilità di sfruttare l’analisi del polline per effettuare il biomonitoraggio della qualità ambientale”, conclude Angeli, “Il procedimento adottato ci aiuta infatti a capire quale parte del paesaggio che ci circonda è più soggetta all’azione dei pesticidi e a inquadrare meglio l’effetto deriva – ovvero la loro dispersione oltre l’obiettivo – comune in agricoltura e viticoltura e a salvaguardare la salute delle api, degli altri impollinatori, e di tutti gli insetti, base stessa dell’ecosistema”.
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