domenica 23 agosto 2020
Ecco come riconoscere la pericolosa vespa velutina e dove si trova in Italia
Introdotta accidentalmente in Francia nel 2004, la vespa velutina o calabrone asiatico ha colonizzato in poco tempo altri Paesi, compresi Spagna, Portogallo e Italia. La puntura dell’imenottero, noto per la sua aggressività, può scatenare uno shock anafilattico nelle persone predisposte e causare anche la morte. Rappresenta una seria minaccia anche per l’ambiente e l’economia.
Tra le cosiddette specie aliene, cioè introdotte dall’uomo da un altro ecosistema, il calabrone asiatico o vespa velutina (Vespa velutina) è una di quelle che desta maggiori preoccupazioni nel nostro Paese. Questi imenotteri asiatici, infatti, sono piuttosto aggressivi nei confronti dell’uomo, e le loro punture nei soggetti sensibili possono scatenare una grave reazione allergica nota come shock anafilattico. È accaduto a uno sfortunato giardiniere quarantaquattrenne di Imperia, che è stato punto da tre vespe velutine mentre era al lavoro. La minaccia principale resta tuttavia per le api, le loro prede preferite. Se infatti nei luoghi d’origine (India, Cina, Indocina e Indonesia) le prede hanno evoluto comportamenti atti a proteggersi dagli attacchi, le api europee sono completamente esposte ai voraci predatori.
Soltanto le femmine di vespa velutina sono dotate di pungiglione, col quale possono iniettare una discreta quantità di veleno nelle vittime. Il pericolo principale è rappresentato dalle punture ripetute, tuttavia nei soggetti sensibili è sufficiente la puntura di una singola vespa per scatenare uno shock anafilattico. Si tratta di un’emergenza medica con conseguenze potenzialmente fatali per il paziente; in parole semplici, è una risposta dirompente e violenta del sistema immunitario al veleno dell’imenottero, una reazione sistemica che può portare all’asfissia e al collasso cardiocircolatorio. Il rischio è acuito dal fatto che la vespa velutina costruisce i nidi nei pressi dei centri abitati, e ciascuno di essi può contenere anche migliaia di esemplari.
sabato 22 agosto 2020
Moria delle api: dal colore del polline un aiuto per scoprire la contaminazione chimica e la dispersione dei pesticidi Grazie alla separazione dei pollini in base al colore, l’analisi chimica e palinologica per determinare l’estensione dell’inquinamento da antiparassitari sarà molto più accurata
Utilizzo di pesticidi e moria delle api. La correlazione tra i due fenomeni è ormai stata ampiamente dimostrata. Per questa ragione, ad esempio, l’impiego di antiparassitari tossici per le api, durante il periodo della fioritura è proibito e, a fini preventivi, l’Unione Europea ha deciso di restringere fortemente l’utilizzo dei neonicotinoidi, particolarmente letali per le api mellifere.
Uno studio sui residui di insetticidi e fungicidi nel polline – condotto da Sergio Angeli e Riccardo Favaro, entomologi, docenti e ricercatori alla Facoltà di Scienze e Tecnologie su otto apiari (o postazioni) tra le province di Bolzano e Trento – ha permesso di stabilire che il loro utilizzo nei meleti contamina anche le piante che sorgono al di fuori della zona coltivata. L’originalità e l’importanza della ricerca – Botanical Origin of Pesticide Residues in Pollen Loads Collected by Honeybees During and After Apple Bloom (Origine botanica dei residui di pesticidi nella bottinatura durante la fioritura dei meli, ndt.), pubblicata sulla rivista scientifica Frontiers in Phisiology – consiste nel fatto che per la prima volta restituisce una fotografia fedele della dispersione dei pesticidi nello spazio in cui si muovono le api.
L’innovatività del processo di analisi
La metodologia utilizzata per la ricerca è basata sul colore del polline: è questa caratteristica che permette di determinare con certezza fino a dove si spinge la contaminazione da antiparassitari. “L’ape normalmente raccoglie polline da circa 150 fiori ma è fedele alle piante che visita durante il medesimo volo, ovvero va sempre a bottinare piante della medesima specie. Noi, suddividendo il polline raccolto dalle singole api di in base al colore, capiamo su quale tipo di pianta si è posata l’ape per recuperare il nutrimento. Successivamente andiamo a verificare se quel determinato polline è contaminato da prodotti chimici e da quali”, spiega Sergio Angeli che è al quarto posto al mondo per citazioni su Google Scholar nel settore della ricerca sulle api mellifere.
La ricerca è stata possibile grazie alla collaborazione degli apicoltori altoatesini e trentini che hanno messo a disposizione gli apiari. All’interno di questi sono state istallate trappole polliniche, griglie di plastica con fori di un diametro molto ristretto. Quando l’ape li attraversa, strusciandosi contro le pareti del foro perde le pallottole di polline raccolto durante la bottinatura. Quello che rimane nella trappola durante una giornata di bottinatura, può essere raccolto dai ricercatori ed utilizzato per effettuare l’analisi chimica e palinologica (determinazione dell’origine botanica del polline).
In precedenza, l’analisi del polline era svolta in maniera indifferenziata. Tutto il polline raccolto veniva prima macinato insieme e poi esaminato. Per individuarne l’origine botanica, i due entomologi hanno invece suddiviso i campioni di polline in tre sottogruppi, a seconda della gradazione di colore: uno di colore verde chiaro, del melo; un secondo arancio, del tarassaco (tipica pianta dei meleti); il terzo rappresenta il residuo, ovvero quello che rimane tolti i primi due colori e che non può essere caratterizzato.
L’analisi dei campioni illumina l’effetto deriva
Valori di tossicità particolarmente elevati nel polline di tarassaco sono stati trovati durante la fioritura del melo nei campioni raccolti a Tirolo e Laives, mentre nel post fioritura in quelli di Malè, Croviana e Tirolo. Sorprendentemente, i pollini provenienti da piante erbacee ed arboree selvatiche o urbane al di fuori dei meleti hanno valori di tossicità pari ed indistinguibili dai pollini di melo e tarassaco raccolti nei meleti, suggerendo una deriva dei fitofarmaci nei territori circostanti.
Per calcolare il potenziale effetto tossicologico sulle api adulte dei residui di prodotti chimici contenuti nel polline i ricercatori hanno calcolato un quoziente di rischio per il polline, il Pollen Hazard Quotient. Questo numero combina la concentrazione con la letalità dei residui di pesticidi come il Phosmet, molto nocivo per le api, o altri come il Flonicamid o l’Imidacloprid. In alcuni campioni questa presenza è preoccupante, fino a 1,6 volte la DL50 ovvero la dose che somministrata una sola volta è in grado di provocare la morte del 50% del gruppo di apidi riferimento entro 24 ore.
Biomonitoraggio della qualità ambientale attraverso l’analisi del polline
Permettere la minimizzazione degli effetti negativi degli antiparassitari sull’ecosistema rappresenta una delle maggiori sfide con cui deve confrontarsi un’agricoltura avanzata improntata al principio della sostenibilità ambientale. Per arrivarci, si potrebbe, in futuro intensificare questo genere di campionamenti e verificare se nelle zone sottoposte a coltivazione biologica questi dati si riducano.
“Questo lavoro di ricerca fondamentalmente apre la possibilità di sfruttare l’analisi del polline per effettuare il biomonitoraggio della qualità ambientale”, conclude Angeli, “Il procedimento adottato ci aiuta infatti a capire quale parte del paesaggio che ci circonda è più soggetta all’azione dei pesticidi e a inquadrare meglio l’effetto deriva – ovvero la loro dispersione oltre l’obiettivo – comune in agricoltura e viticoltura e a salvaguardare la salute delle api, degli altri impollinatori, e di tutti gli insetti, base stessa dell’ecosistema”.
mercoledì 22 aprile 2020
Ruolo ecologico di Apis mellifera e relazione tra alveare e ambiente
- Formazione di grosse colonie durevoli (oltre 50.000 individui in primavera-estate)
- Raccolta di enormi quantità di nettare e stoccaggio di moltissimo miele
- Nidificazione entro cavità (di volume paragonabile ad una cesta, un otre o altri recipienti)
- Timore del fumo
- Riproduzione delle colonie per sciamatura solo in determinati periodi dell’anno
- Stazionamento temporaneo degli sciami a pochi metri dalla colonia originaria
- Le api si sono evolute assieme ai fiori da cui ricavano il cibo e che provvedono a impollinare
- Queste colonie sono durevoli grazie alla cera di cui sono fatti i favi
- Il percorso evolutivo ha portato le api mellifere a costituire enormi colonie
- La necessità per le api mellifere di immagazzinare grandi scorte di miele ha determinato la nascita dell’apicoltura
- Le api mellifere sono organismi selvatici e sono i più importanti impollinatori della nostra flora spontanea
- Il susseguirsi delle fioriture e delle altre disponibilità alimentari di un dato ambiente, sono alla base dell’andamento demografico delle colonie
- Il sostentamento di queste colonie prevede un elevato sincronismo con l’ambiente sia da un punto di vista climatico che floristico
- Questo sincronismo api-ambiente necessita di tempi lunghi e produce i cosiddetti ecotipi.
martedì 3 settembre 2019
Le api sono la specie più importante del Pianeta. E a causa nostra si stanno estinguendo. DI Silvia Granziero 2 Settembre 2019
Se il trend attuale non cambia le proiezioni prevedono l’estinzione del 40% degli insetti entro qualche decina di anni. Nei primi anni Duemila gli apicoltori statunitensi lanciarono l’allarme dello svuotamento delle loro arnie e gli agricoltori avvertirono il Congresso della necessità di ridurre l’estensione delle loro coltivazioni, a causa della moria delle impollinatrici: le api continuavano a diminuire, non solo negli Stati Uniti (dove si registrano perdite di api mellifere del 30% annuo, con picchi fino al 70% in alcuni stati, come in Iowa nel 2014), ma in tutto il mondo. Si iniziò allora a parlare di Colony Collapse Disorder, un crollo drammatico che oggi fa registrare ogni anno perdite oltre la soglia di allarme, fissata al 15% di una colonia, cifra sotto a cui i decessi non hanno grosse conseguenze. In Europa e in Australia va leggermente meglio, ma non possiamo stare tranquilli, senza contare che, se la morte delle api domestiche può essere misurata, è più difficile raccogliere i dati relativi alle api selvatiche, non meno importanti.
Le circa 25mila specie diverse di api sono minacciate da un insieme di fattori, la maggior parte dei quali provocata dall’uomo. Il lavoro delle api è molto dispendioso in termini di energia fisica per affrontare lunghi voli ed energia mentale che coinvolge una serie di abilità tra cui i sensi, la cognizione spaziale, l’apprendimento e la memoria; qualsiasi fattore interferisca con queste abilità impedisce alle api di raccogliere il cibo e tornare all’alveare e quindi, indirettamente, le uccide. Inquinamento da diesel e pesticidi neonicotinoidi sono i principali tra i fattori che interferiscono con le comunicazioni chimiche cerebrali delle api; gli scienziati hanno lanciato l’allarme anche riguardo all’agricoltura industriale e alle responsabilità di colossi come Monsanto, che, con le sostanze dannose che commercializza, interferisce con l’alimentazione delle api, indebolendole. Anche il cambiamento climatico colpisce su diversi piani: tanto il clima troppo umido con piogge violente quanto la siccità, infatti, possono uccidere gli insetti per fame o per sete, facendo seccare o distruggendo le piante che sono la loro unica fonte di sopravvivenza. Le ondate di calore, poi, possono ucciderli direttamente o far sciogliere alveari e arnie . A dare il colpo finale intervengono poi altri insetti come la Varroa destructor , parassita che interferisce con lo sviluppo cerebrale delle api.
Quanto alle sostanze chimiche dannose, in Italia siamo relativamente fortunati dato che a livello europeo i nostri prodotti alimentari sono tra quelli con meno residui di pesticidi. Ma questo non deve farci abbassare la guardia: sono diverse le ragioni per cui lo scenario attuale deve allarmarci e dovremmo impegnarci di più per salvare gli imenotteri, non solo perché ci piace il miele. Sono circa 250mila le specie vegetali impollinate dalle api, e di queste molte sono coltivate dall’uomo: gli imenotteri impollinano, infatti, un terzo di tutti i vegetali che mangiamo e tre quarti delle coltivazioni esistenti ricevono in qualche modo benefici da questi insetti. Il 35% delle colture dipende quindi da specie come le api, che contribuiscono, inoltre, a far aumentare del 30% circa le rese di ben 90 colture. Frutta come mele, pere, kiwi, castagne, ciliegie, albicocche, susine, meloni e cocomeri e ortaggi come pomodori, zucchine, soia, aglio, carote, cavoli e cipolle dipendono del tutto o in parte dalla loro impollinazione. Sono dati notevoli, importanti, specialmente per un mondo alle prese con la grande sfida di riuscire a nutrire la sua popolazione in continua crescita senza collassare.
Per la loro sparizione non soffrirebbe solo la nostra alimentazione, ma anche quella di molte specie animali, a partire da quelle che si nutrono di bacche e frutti e dai loro predatori, con un effetto a cascata su tutta la catena alimentare. Per l’uomo, poi, anche altri comparti subirebbero un duro colpo, tra cui la coltura del cotone. E naturalmente c’è anche il problema della perdita di posti di lavoro nel settore dell’apicoltura: con 250mila tonnellate annue di miele, di cui 23mila provenienti dall’Italia, l’Europa è il secondo produttore mondiale di miele dopo la Cina. Il nostro Paese è il maggiore produttore europeo di miele biologico, un settore in crescita in cui l’offerta non riesce a soddisfare la domanda, in aumento nelle nicchie di alta qualità, anche perché in Italia consumiamo l’85% del miele che produciamo. Dalle carestie alla mancanza di caffè e cacao, all’aumento a dismisura dei prezzi di frutta, verdura e fibre vegetali per l’abbigliamento, lo scenario di un mondo senza api si prospetta catastrofico.
Proprio la Cina, a causa dell’uso massiccio dei pesticidi, deve affrontare lo sterminio della quasi totalità delle api. Per far fronte alla situazione, grave soprattutto per gli effetti sulle coltivazioni di pere e mele nel sud del Paese, sono stati arruolate persone per svolgere l’impollinazione, ma la precisione e la delicatezza di un’ape non possono essere facilmente riprodotte. Non è poi secondario il problema dei costi, dato che il valore economico dell’impollinazione degli insetti è stimato ad esempio oltre 14 miliardi di dollari negli Usa e 440 milioni di sterline all’anno in Regno Unito. L’impollinazione a mano è quindi possibile solo per le coltivazioni più preziose e redditizie, anche perché non ci sono persone sufficienti a fare da impollinatori. Altrove, per esempio al Politecnico Tomsk in Russia e all’Istituto Nazionale per la Scienza e la Tecnologia Industriale Avanzata in Giappone, sono state sviluppate delle api robot, piccoli droni con crini di cavallo incollati sul “ventre” per impollinare delicatamente le colture. Ci sono però dei problemi: innanzitutto, spesso i droni possono essere impiegati solo nelle serre e poi c’è chi, come Saul Cunningham, sottolinea che nemmeno questo metodo è economicamente sostenibile su grandi estensioni.
Già da qualche anno, l’Unione Europea ha vietato l’impiego (applicabile dalla fine dell’anno scorso) di tre tipologie di pesticidi neonicotinoidi. La decisione, votata favorevolmente dalla maggior parte dei Paesi membri, è arrivata a seguito dei pareri espressi dall’Efsa sulla pericolosità dei neonicotinoidi nei confronti degli insetti e in particolare delle api. Le criticità rimangono, come fa notare Coldiretti: i divieti devono essere estesi anche alle colture in serra, dove per ora non vigono, e vanno applicati anche alle importazioni: ad esempio, buona parte del miele consumato in Italia arriva dalla Cina e, venduto in Europa a 1 euro al chilo, sta minando i mercati locali e mettendo a rischio anche la produzione italiana, che conta su un numero tra 45mila e 55mila produttori di miele, per un valore del settore di 60 milioni di euro, anche se difficilmente calcolabile dato l’alto numero di apicoltori amatoriali.
Se da un lato dobbiamo impegnarci con tutte le forze a preservare la popolazione di imenotteri e a incrementarla, dall’altro dobbiamo anche adattarci alla loro sempre più frequente assenza; infatti più l’agricoltura dipende da una singola coltura e più il contributo delle api diventa essenziale, motivo per cui sarebbe bene puntare sulla biodiversità delle colture, ricominciando a coltivare anche le specie oggi meno commercializzate. Intanto i singoli cittadini possono fare qualcosa: ad esempio piantare in giardino e sul balcone piante come rosmarino, borragine, basilico, lavanda, timo, ma anche malva, girasoli e calendule; evitare erbicidi e pesticidi; installare alveari e tagliare il prato meno frequentemente. E soprattutto si può far valere il proprio potere come consumatori, informandosi sulla provenienza dei prodotti acquistati e comprando miele locale e biologico per supportare l’apicoltura sostenibile. Ma una presa di coscienza ai piani alti, che emanino leggi più coraggiose e severe in materia di apicoltura e agricoltura sostenibile, è indispensabile. Il Regno Unito – che a livello regionale ha visto scomparire diverse specie di api – ha provato a risvegliare l’attenzione sul tema a Expo 2015, con un padiglione a forma di alveare, ma il problema è urgente: l’estinzione delle api è già una realtà ed è il momento che anche la politica, sempre distratta da problemi apparentemente più importanti e da finte emergenze per accaparrarsi voti, agisca davvero.
sabato 31 agosto 2019
Strage di api in Brasile: 500 milioni di insetti morti in tre mesi. Colpa dei pesticidi concessi da Bolsonaro
Nel solo stato del Rio Grande do Sul sono state trovate morte 400 milioni di api ma il problema sta interessando anche altre zone del sud del Brasile. Accusati di questa vera e propria strage sono ancora una volta i pesticidi.Inutile ricordare l’importanza delle api per l’ecosistema e la catena alimentare. In tutto il mondo questi insetti sono in pericolo per colpa dell’uomo e delle sue scelte sconsiderate, tra queste l’uso di alcuni pesticidi che danneggiano non solo le api ma anche le farfalle e altri insetti.
In Brasile la situazione delle api è davvero drammatica. 400 milioni sono gli insetti morti nel Rio Grande do Sul, 7 milioni a San Paolo, 50 milioni a Santa Catarina e 45 milioni nel Mato Grosso do Sul per un totale di oltre 500 milioni di insetti.
Le ricerche di laboratorio indicano i pesticidi, e in particolare quelli contenenti neonicotinoidi e fipronil (prodotti vietati in Europa), come la principale causa di morte per la maggior parte delle api brasiliane. Quasi tutte, infatti, presentavano tracce di fipronil.
L’uso di questi pesticidi che uccidono le api è aumentato negli ultimi tempi e la responsabilità è soprattutto dell’attuale presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, criticato più volte per le sue discutibili prese di posizione relativamente alle tematiche ambientali e sociali.
E’ stato proprio lui, infatti, ad eliminare le restrizioni sui pesticidi, nonostante l’opposizione degli ambientalisti che li hanno definiti dei veri e propri veleni.
Secondo Greenpeace, che cita l’indagine Unearthed, negli ultimi 3 anni sarebbero stati registrati in Brasile ben 193 diserbanti e pesticidi contenenti sostanze chimiche vietate nell’Unione europea (il 40% dei quali sarebbero “altamente o estremamente tossici”).
“La morte di tutte queste api è un segno del fatto che siamo stati avvelenati”, ha dichiarato Carlos Alberto Bastos, presidente dell’Associazione apicoltori del Distretto Federale del Brasile.Mentre le morti di massa di api in Brasile sono avvenute quest’anno, il legame tra pesticidi e declino delle popolazioni di questi insetti è stato a lungo studiato. Una ricerca della Harvard University del 2004 ha scoperto che i pesticidi svolgono un ruolo chiave nell’uccidere la popolazione di api negli Stati Uniti.
Proprio negli Usa, gli apicoltori hanno perso 4 su 10 delle loro colonie di api nell’ultimo anno, rendendo lo scorso inverno il peggiore mai registrato. Ma anche nel resto del mondo non va tanto meglio. In Russia 20 regioni hanno riportato moria di massa di api e almeno un milione di insetti sono morti in Sudafrica nel novembre 2018 proprio a causa del fipronil.
Ci sono poi paesi come il Canada, il Messico, l’Argentina e la Turchia che hanno segnalato una strage di api negli ultimi 18 mesi.
Anche l’Europa, purtroppo, non è esente dal problema. Esiste anche nei paesi Ue, infatti, la possibilità di usare in agricoltura 2 dei 5 pesticidi neonici pericolosi per le api. Solo la Francia ha dato il buon esempio e li ha messi tutti al bando.
L’Italia purtroppo segue la scia del resto d’Europa permettendo l’uso di questi due pesticidi e anche del glifosato.
Sembra sempre più evidente che bandire i pesticidi dannosi in tutto il mondo sia di vitale importanza per impedire che le api scompaiano dal pianeta (e noi con loro!).
martedì 18 giugno 2019
Carlo Amodeo, il signore delle api che ha "resuscitato" quella nera sicula
https://www.lasicilia.it/news/sicilians/254117/carlo-amodeo-il-signore-delle-api-che-ha-resuscitato-quella-nera-sicula.html
lunedì 10 giugno 2019
Le api capiscono i simboli numerici (eppure le stiamo ammazzando
Piccole grandi api: capiscono il concetto di zero, ma anche i numeri, associando simboli e quantità. Minuscoli ma potentissimi (e vitali) cervelli che sottovalutiamo e che continuiamo ad uccidere, riducendone le colonie di quasi un quinto solo nell’inverno 2017-2018. Con danni enormi diretti verso noi stessi.È una vera e propria strage di api: ai predatori naturali, nonché ciclici virus che purtroppo (o per fortuna) fanno parte del grande “gioco della natura” si unisce l’uomo, con l’uso indiscriminato e irresponsabile di pesticidi in agricoltura, veri e propri veleni che, nonostante i ripetuti allarmi e qualche timido tentativo di contenimento, in realtà non si fermano.
Stiamo uccidendo animali incredibili, che letteralmente sorreggono il Pianeta. Uno studio condotto dalla RMIT University (Australia) e pubblicato su Proceedings of the Royal Society B ha dimostrato che questi insetti riescono addirittura ad associare simboli a quantità, mostrando potenzialità finora sconosciute.
Era stato già dimostrato che le api capiscono il concetto di zero: una ricerca del 2018 pubblicata su Science da un team di ricercatori australiani e francesi aveva dimostrato per la prima volta che queste hanno raffinate abilità numeriche, in grado di utilizzare lo zero, avvicinando, in questo modo, la stessa nozione di “nulla” ai sistemi di Intelligenza Artificiale.
Ma c’è di più, perché gli impollinatori per antonomasia riescono anche ad associare simboli a quantità, un’abilità che, nonostante per noi sembri semplice, in realtà implica processi cognitivi piuttosto sofisticati.
Precedenti studi avevano mostrato che i primati e gli uccelli possono anche imparare a collegare simboli e numeri, ma questa è la prima volta che tale capacità viene riscontrata negli insetti. Le api hanno meno di un milione di neuroni, contro gli oltre 86 miliardi di quelli umani, e sono separate da noi da oltre 600 milioni di anni di evoluzione. Un risultato, dunque, particolarmente sorprendente.
“Ma se le api hanno la capacità di apprendere qualcosa di così complesso come un linguaggio simbolico creato dall’uomo – spiega Adrian Dyer, coautore dello studio – si aprono nuovi eccitanti percorsi per la comunicazione futura tra le specie”.
Foto: Università di Strathclyde
Strage di api, Italia tra le peggiori d’Europa
Un modo incredibile, affascinante, che ispira e dona vita a tutto il Pianeta, e che sta morendo. Il numero di colonie di api è diminuito del 16% solo nell’inverno del 2017-18, secondo uno studio internazionale condotto dall’Università di Strathclyde (UK), che si unisce a numerosi precedenti.Questo, in particolare, ha intervistato 25.363 apicoltori in 36 Paesi, rilevando che, su 544.879 colonie gestite all’inizio dell’inverno (si parla di api da miele), 89124 sono state perse, per una combinazione di cause che includono anche quelle naturali (es. meteo, parassiti). Un quadro preoccupante dove i comportamenti umani rischiano di infliggere ulteriori ferite determinanti.
Foto: Alison Gray/Journal of Apicultural Research
E il nostro Paese, ahinoi, è nella top 4 delle stragi più evidenti, insieme a Portogallo, Irlanda del Nord, e Inghilterra, con perdite superiori al 25%, mentre Bielorussia, Israele e Serbia sono state tra quelle con tassi di perdita inferiori al 10%. Ci sono state poi anche variazioni regionali significative in alcuni Paesi, tra cui Germania, Svezia e Grecia.
“La diminuzione delle colonie di api da miele è un problema complesso – spiega Alison Gray, che ha guidato lo studio – Tende ad essere influenzato meno dal clima generale che da specifici modelli meteorologici o da calamità naturali […]”.Certo è che se a tutto questo si aggiunge l’uso di veleni in agricoltura che continua a provocare stragi, il destino sembra segnato. E al concetto di zero, che le nostre amiche api capiscono, rischiamo di arrivare sul serio.
Lo studio è stato pubblicato su Journal of Apicultural Research.