giovedì 27 maggio 2010

Regno Animalia: prima classificazione scientifica di Apis mellifera


Sono definiti Animali (o Metazoi) tutti gli organismi eucarioti, con differenziazione cellulare, eterotrofi e mobili durante almeno uno stadio della loro vita, e quindi anche la specie umana ne fa parte. Il regno animale (Animalia o Metazoa) è costituito da circa 1,5 milioni di specie note viventi (ma si pensa che ve ne siano ancora molte da scoprire), raggruppate in particolari categorie tassonomiche definite dal sistema di classificazione scientifica. Il phylum più rappresentativo è, senza dubbio, quello degli Artropodi che conta circa 1 milione di specie, di cui 750.000 appartenenti alla classe degli Insetti. La disciplina biologica che studia gli animali viene detta Zoologia. La Medicina veterinaria studia tutto ciò che riguarda la salute degli animali diversi dall'uomo.
Struttura
Essendo così vasto le specie appartenenti al regno animale presentano, come ogni giorno possiamo osservare intorno a noi, una enorme biodiversità.
Tegumento, scheletro e muscoli
In tutti gli animali, escludendo quelli più primitivi da un punto di vista evolutivo, il tegumento e il sistema muscolare sono variamente in rapporto tra loro e dipendono strettamente dall'ambiente in cui gli organismi vivono. Il tegumento, oltre alla funzione di protezione dell'ambiente interno da eventuali pericoli provenienti dall'ambiente esterno all'animale, può nei vari taxa svolgere varie altre funzioni. Nei Platelminti e in altri Phyla minori rappresenta il sistema di scambio dei gas.
Apparato digerente e metabolismo
Gli animali, come già ricordato sono organismi eterotrofi, non sono cioè in grado di fabbricarsi da soli l'alimento come le piante, ma devono procurarselo nutrendosi di piante, altri animali o resti di altri animali. Così come per gli altri sistemi e apparati, varie sono le modalità sviluppate dai vari phyla riguardo alle abitudini alimentari, alla digestione delle sostenze ingerite e ai propri processi metabolici.
Sistema circolatorio
L'apparato circolatorio svolge la funzione di distribuire le sostanze nutritive alle cellule del corpo. Può contenere anche cellule e pigmenti respiratori (emoglobina, emocianina). Può essere chiuso (Anellidi, Vertebrati, molluschi Cefalopodi) o aperto (Insetti, gli altri Molluschi), o addirittura mancare del tutto, come in alcuni Phyla.
Apparato respiratorio ed escretore
L'apparato respiratorio è costituito dall'insieme delle strutture attraverso le quali l'aria entra dalla bocca e dal naso per arrivare ai polmoni e da questi ritornare all'ambiente esterno. L'apparato respiratorio si distingue in vie aeree inferiori e vie aeree superiori. Le vie aeree superiori sono costituite da organi collocati esternamente al torace: naso, faringe, laringe; le vie aeree inferiori comprendono organi posti all'interno del torace: trachea, bronchi e polmoni. La funzione svolta dall'apparato respiratorio è la respirazione. La finalità di questo processo è rifornire il sangue di ossigeno e liberarlo dall'anidride carbonica, che è un prodotto di scarto dell'attività cellulare. Come funziona l'apparato respiratorio. Le azioni che rendono possibile l'immissione e l'emissione di aria dai polmoni sono chiamate rispettivamente inspirazione ed espirazione. Durante l'inspirazione l'aria contenente ossigeno entra nel naso e da qui passa alle altre vie respiratorie per arrivare ai polmoni. Se il naso è ostruito oppure se il volume dell'aria inspirata deve essere elevato, come avviene ad esempio durante uno sforzo fisico, l'aria entra dalla bocca. Finita l'inspirazione, nei polmoni si verifica uno scambio gassoso nel corso del quale l'aria cede ossigeno al sangue e il sangue cede anidride carbonica all'aria. Terminato lo scambio gassoso, l'aria contenente anidride carbonica viene espulsa dai polmoni e ripercorre a ritroso le vie respiratorie per essere restituita all'ambiente esterno.
Ghiandole endocrine
Sono delle ghiandole che secernono particolari composti che svolgono la funzione di trasmettitori di segnale tra parti differenti del corpo.
Sistema nervoso e organi di senso
Gli organismi unicellulari sono in grado di rispondere a uno stimolo esterno con una reazione, dimostrandosi eccitabili o irritabili. Dal passaggio alle forme pluricellulari nasce la necessità di un sistema nervoso capace di gestire e coordinare le funzioni dei vari tessuti, apparati e sistemi in modo che essi agiscano come un'unità.
Riproduzione
La riproduzione può avvenire sessualmente o asessualmente. La riproduzione asessuale, tipica dei Batteri e dei Protozoi, è nel regno animale molto meno diffusa e, sostanzialmente, presente solo nei phyla meno evoluti, dove comunque si può avere anche una riproduzione sessuale. A volte è presente l'alternanza di generazioni.
Ecologia
È ormai accertato che la nascita della vita è avvenuta nell'ambiente acquatico. Ancora oggi la maggioranza dei phyla viventi abitano prevalentemente quest'ambiente. Addirittura esistono phyla che possono essere considerati endemici dell'ambiente marino (13 phyla su 28 che vivono in tale ambiente) mentre nessun phylum viene considerato endemico dell'ambiente delle acque dolci. Dall'acqua, nel corso delle ere geologiche, vari gruppi hanno saputo conquistare spazio nell'ambiente terrestre (1 phylum endemico, gli Onychophora), mentre altri hanno optato per una vita di simbiosi o parassitismo (4 phyla endemici). Il passaggio dall'ambiente acquatico a quello terrestre è avvenuto grazie all'azione fotosintetica delle alghe unicellulari prima e delle piante poi, che hanno via via arricchito l'atmosfera di Ossigeno, causando il passaggio da un ambiente fortemente riducente a uno ossidante.
Classificazione
Diverse classificazioni degli animali, così come quella degli altri regni, sono state proposte nel corso degli anni. Le prime classificazioni si basavano su caratteristiche morfologiche, prendendo in considerazione, a seconda dell'autore un numero più o meno grande di caratteri. Successivamente si è passati a raggruppare gli organismi considerando anche il loro sviluppo embrionale. Negli ultimi anni, così come avviene per gli altri regni, si cerca una classificazione basata su studi di genetica molecolare, in base al principio che determinati geni si conservano pressoché uguali nei vari raggruppamenti e il numero di variazioni nelle basi del Dna può essere correlato col tempo trascorso dall'allontanamento da un antenato comune (Orologio Molecolare).
Cronologicamente si fanno risalire ad Aristotele le prime osservazioni tassonomiche, raccolte nei vari scritti scientifici come "Ricerche sugli animali", "Le parti degli animali" e "Sulla generazione degli animali". Sebbene venga spesso considerato il padre fondatore della Zoologia moderna, Aristotele non propose mai un sistema tassonomico esaustivo e scientifico. I suoi studi erano per lo più annotazioni di carattere ora scientifico, ora fisiologico ora etologico, senza applicare in nessun caso un mero progetto tassonomico teorico.
Dalle sue notazioni emerge comunque una primitiva suddivisione del regno Animale affine per certi aspetti a quella moderna. Aristotele suddivideva gli animali in due primi gruppi, gli Enaima (Animali con sangue) ed Anaima (Animali senza sangue). Al primo gruppo appartenevano l'Uomo, i Quadrupedi, i Cetacei, i Pesci e gli Uccelli. Al secondo appartenevano la maggior parte dei Crostacei decapodi, dei Molluschi e quelli che Aristotele definiva Entoma, vale a dire un insieme più o meno confuso degli attuali Insetti, Miriapodi, Aracnidi, Anellidi e Vermi parassiti. Il criterio di classificazione che Aristotele adottò per gli Entoma fu la suddivisione del corpo degli animali in più segmenti ben individuabili, sulla faccia ventrale, dorsale o entrambe. Se si escludono gli Anellidi e i Vermi parassiti la definizione aristotelica di Entoma si avvicina molto a quella contemporanea degli Artropodi.
Aristotele si interessò, seppure marginalmente, anche dei Vegetali. Le sue intuizioni a riguardo non furono vicine a quelle moderne come invece è stato per gli Animali. Aristotele sosteneva infatti che le Piante si fossero originate a partire da animaletti dalle dimensioni modeste provvisti di un gran numero di zampe che, a causa di una vita sempre più immobile e sedentaria, avrebbero perso le articolazioni finali andando a sostituire le funzioni vitali svolte dalla bocca.
Le teorie zoologiche di Aristotele ricevettero molto successo nel corso del tempo rispetto a quelle botaniche, tant'è che perdurarono per circa duemila anni; soprattutto grazie alle adesioni che i suoi libri ricevettero da parte dei primi scrittori e teologi cristiani, come Origene, S. Agostino e S. Tommaso d'Aquino.
Invertebrati, una importante suddivisione del Regno Animalia
Il termine invertebrati fu coniato da Jean-Baptiste de Lamarck per indicare tutti gli animali senza colonna vertebrale (invertebrati). Sono quindi esclusi i pesci, i rettili, gli anfibi, gli uccelli e i mammiferi. Il termine è stato usato nella classificazione zoologica con valore di sottoregno del regno Animali quando questo era appunto diviso in invertebrati (che comprendeva anche i protozoi) e vertebrati. Attualmente non ha più valore di classificazione né dal punto di vista filogenetico né da quello fenetico. Oggi gli invertebrati pluricellulari sono classificati in oltre 20 phyla diversi, dagli organismi molto semplici come le spugne e i vermi piatti (Platelminti) fino agli animali più complessi, come gli artropodi e i molluschi, mentre i protozoi sono stati uniti alle alghe verdi unicellulari nel regno protisti. Gli invertebrati includono il 97% delle specie viventi.
Vertebrati, una importante suddivisione del Regno Animalia
I Vertebrati (Vertebrata) sono un subphylum dei Cordati (facenti parte degli Animali), caratterizzato dal possedere una struttura scheletrica ossea e/o di cartilagine. Attualmente, escluse cioè le specie fossili, sono rappresentati da circa 50.000 specie di cui la metà sono Pesci (agnati, condritti e osteitti). Gli Uccelli invece sono il secondo gruppo tassonomico con 9.000 specie circa, seguono i Rettili con circa 6.000, i Mammiferi con 4.000 e gli Anfibi con quasi 4.000 specie. Il tessuto osseo è evolutivamente anteriore a quello cartilagineo.

giovedì 20 maggio 2010

le connessioni nervose nel cervello dell'ape

Sezione di testa di Apis mellifera; con la colorazione DAPI si evidenziano i nuclei, di un colore bianco lucente delle cellule presenti in sezione ed in questo caso i neuroni presenti nel cervello; la popolazione neuronale si presenta a livello di distretti ad alta, media e scarsa densita', mentre le regioni in negativo ottenute con la colorazione rappresentano il livello organizzativo delle connessioni nervose intracerebrali.
Fotografia superiore sinistra: panoramica del cervello con i quattro calici facenti parte dei corpi fungiformi, centri d'integrazione sensoriale, con popolazione neuronale ad alta densita' (cellule Kenion); la forma di calice in negativo rappresenta una regione di connessione delle cellule neuronali. La regione sotto calici presenta scarsa densita' neuronale ed un alto grado di connessioni nervose; limitrofe alla regione sotto calici, inferiormente, si osserva l'esofago dell'ape; ai lati delle regioni sotto calici si osservano componenti dei lobi ottici.
Fotografia superiore destra: rappresenta i due calici mediani ad alta densita' neuronale, in rapporto superiormente con i tre ocelli dell'ape, dove  in quello di sinistra sono visibili i fotorecettori; la regione sotto ocellare presenta popolazione neuronale a media densita'.
Fotografia inferiore sinistra: rappresenta una componente del lobo ottico: le medulle. Questa componente presenta alta densita' neuronale ed una regione di connessione nervosa.
Fotografia inferiore destra: rappresenta un calice ad alta densita' neuronale con la regione di connessione nervosa a forma di calice; inferiormente ad essa si ripresenta un sottile strato ad alta densita' neuronale.
Dipartimento DIBIO Universita' di Genova (2008-2009).

mercoledì 19 maggio 2010

il pane delle api: il polline

Il polline è costituito da molteplici corpuscoli di dimensioni microscopiche contenuti nelle antere del fiore e costituenti le cellule germinali maschili delle spermatofite . Esistono migliaia di tipi di polline: ogni specie di
pianta ne produce un tipo particolare, una vera impronta digitale.
Si parla di polline anemofilo quando la sua distribuzione avviene per mezzo del vento e di polline entomofilo quando è raccolto e trasportato dagli insetti su altri fiori, rendendo così possibile la fecondazione degli organi femminili.
Colori e dimensioni: i granelli di polline si presentano in forma sferica o ovoidale, aventi diametri compresi fra 2.5 e 250 micron a seconda della specie. In media le dimensioni vanno dai 20 ai 40 micron. Il polline si presenta in forma di polvere fine, di colore dal bianco al nero; prevalgono i colori gialli, arancio e rosso.
La raccolta del polline: l’ape raccoglie il polline per l’alimentazione della covata (uova, larve e ninfe). Questo alimento costituisce infatti l’unica fonte proteica che, abbinata a quella energetica degli zuccheri, consente la crescita dell’insetto e costituisce la materia prima per la produzione della pappa reale. Esistono delle api raccoglitrici specializzate nella raccolta del polline; in genere questa operazione è svolta dalle api più vecchie nell’ultima parte della loro esistenza. L’ape si posa su un fiore e mentre succhia il nettare nel calice, il suo corpo si ricopre di polline che le cade addosso; l’insetto lo raccoglie con le zampe, lo porta alla bocca dove lo inumidisce con un po’ di nettare rigurgitato e saliva e, con le zampe posteriori, lo riduce in palline che verranno depositate nelle ceste poste sul terzo paio di zampe. Dopo aver visitato vari fiori, le due ceste si riempiranno di 2 palline di circa 7-8 mg ciascuna; la raccoglitrice porterà il suo raccolto all’alveare e lo cederà alle giovani operaie che, dopo averlo umidificato e ricoperto di miele, lo depositeranno nelle celle.
Ogni pallina portata dall’ape contiene vari milioni di granelli di polline. La raccolta del polline da parte delle api va dalla fine dell’inverno all’inizio dell’autunno, però il periodo più favorevole è quello compreso fra la metà della primavera e il principio dell’estat Si è calcolato che ogni anno in un’arnia vengono accumulati dai 30 ai 50 Kg di polline Con l’impiego di “trappole di polline” è possibile sottrarre alle api parte del loro bottino pollinifero (in media non più del 10%). Sottoponendo il raccolto a rapida disidratazione con getti di aria a 40°C, si riduce l’umidità al 4-5% ed in tal modo le palline di polline sono meglio conservabili. Il polline raccolto con mezzi meccanici è molto meno attivo di quello raccolto dalle api e, si pensa, che siano proprio le modifiche apportate dall’ape sul polline, a renderlo privo di tossicità.
Composizione chimica del polline: ogni granulo pollinico è un’entità biologica che contiene il necessario alla vita: protidi, glucidi, lipidi, sali minerali e oligoelementi, vitamine ormoni ed enzimi.
Esistono notevoli differenze quali/quantitative nel polline a seconda dell’origine botanica. Indubbiamente l’elemento fondamentale resta la componente proteica che determina il maggior o minor valore del polline:
Protidi - si conoscono esattamente i vari aminoacidi presenti nel polline, sia liberi che combinati: acido glutammico, triptofano, arginina, cistina, istidina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina e valina.
La composizione aminoacidica del polline risulta molto vicina a quella della pappa reale:
Arginina - Istidina  - Isoleucina  - Leucina - Lisina - Metionina - Fenilalanina  - Treonina  - Triptofano  - Valina. Le proteine appartengono per lo più al gruppo delle gliteline.
Glucidi - la componente glucidica è costituita soprattutto da glucosio, fruttosio e amido.
Lipidi - di rilevante interesse, soprattutto in campo cosmetico, è la frazione lipidica, che è anche quella sinora meno studiata. I lipidi rappresentano l’1-10% del peso totale del polline e il più ricco è quello di Tarassaco con un contenuto vicino al 15%. Compongono la miscela lipidica del polline trigliceridi, acidi grassi liberi (soprattutto insaturi come acido oleico, linoleico e linolenico) ed in saponificabili (idrocarburi, alcoli lineari e steroli).
Vitamine - particolare attenzione merita l’esame della componente vitaminica; tra esse vanno ricordate:
vitamina A - vitamina B1 o tiamina - vitamina B2 o ribflavina - vitamina B3 o vitamina PP o nicotinamide
vitamina B5 o acido pantotenico - vitamina B6 o piridossina - vitamina B7 o mesoinositolo-vitamina B8 o vitamina H o biotina - vitamina B9 o acido folico - vitamina B12 o cianocobalamina - vitamina C o acido ascorbico - vitamina D o calciferolo - vitamina E o tocoferolo
A queste vanno aggiunti i pigmenti flavonoidici che costituiscono il fattore P. Va annotato che solo i pollini delle api contengono carotenoidi, assenti nei pollini anemofili.
Sali minerali - i sali minerali presenti sono: K, Mg, Ca, P, Si, mentre fra gli oligoelementi sono stati individuati S, Mn, Cu, Fe, Cl, Ti.
Enzimi - l’attività enzimatica sarebbe dovuta alla presenza di fosfatasi, amilasi ed invertasi.
Ormoni - viene riconosciuta al polline un’attività ormonale sia estrogenica che androgenica.
Tra gli altri costituenti del polline presenti in quantità non trascurabile vanno ricordati: alcuni fattori di crescita (biostimuline), sostanze antibiotiche idroestraibili, acidi nucleici, sostanze allergizzanti e rutina, che aumenta la resistenza capillare.

il nettare trasformato in miele dall'Apis mellifera

Il miele è il prodotto alimentare che le api domestiche producono dal nettare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie e lasciano maturare nei favi dell’alveare.” Questa definizione è tratta dalla “Norma regionale europea raccomandata per il miele” documento emanato dalla commissione del Codex Alimentarius Fao/Oms nel 1969; è stata poi ripresa dalla direttiva CEE del 22 luglio 1974 dalla legge italiana n. 753 del 12 ottobre e infine dalla più recente “Norma Internazionale sul Miele” emanata dalla commissione del Codex Alimentarius Fao/Oms nel 1989. La definizione riassume in una sola frase che cos’è il miele e anche che cosa non è : il miele è infatti la trasformazione del nettare dei fiori o della melata elaborata dalle api mellifere e non da altri insetti; nessuna sostanza può essere aggiunta o sottratta al prodotto delle api, perché possa essere definito miele.
Il nettare è una sostanza zuccherina derivata dalla linfa dei vegetali superiori e secreto da particolari organi ghiandolari chiamati nettari. A seconda che siano portati dal fiore o che si trovino su altre parti della pianta vengono distinti: nettari floreali ed extrafloreali. La composizione del nettare per quanto riguarda i costituenti principali, sono acqua e zuccheri. Tuttavia il tenore di acqua è molto variabile, ed è variabile anche la concentrazione totale di zuccheri, che può essere compresa tra 5 e 80% circa. I principali zuccheri contenuti nel nettare sono: saccarosio, glucosio e fruttosio; le loro proporzioni relative portano alla definizione di 3 diversi tipi di nettare: con prevalenza di saccarosio, con prevalenza di fruttosio e glucosio, con i 3 zuccheri presenti in proporzioni circa uguale. Il nettare contiene anche piccole quantità di altri zuccheri e di composti chimici diversi, tra cui sostanze aromatiche, Sali minerali, acidi organici, amminoacidi, enzimi.
La melata: il miele oltre che dal nettare dei fiori può essere prodotto anche dalla melata vegetale. Anche la melata deriva dalla linfa delle piante, ma mentre il nettare è secreto attraverso un processo attivo, la melata è prodotta in seguito all’intervento di insetti parassiti che succhiano la linfa delle piante. Questi insetti, chiamati produttori di melata sono dotati di un apparato boccale pungente succhiante che consente loro di perforare i tessuti della pianta ospite, assorbendo la linfa che scorre all’interno dei tessuti cribrosi. Le goccioline espulse da questi insetti cadono sulle foglie sottostanti, dove le api le raccolgono. La melata contiene delle resine gommose (destrine), e uno zucchero particolare, il melezitosio, e da origine a un miele particolare, viscoso, di colore scuro, molto apprezzato in Francia (Miele di conifere). Le piante interessate alla produzione di melata, nelle nostre aree geografiche, sono principalmente: conifere (abete bianco, Abete rosso, pino, larice) ma anche quercia, faggio, pioppo e tiglio, salice, acero, castagno, robina, alberi da frutto.
Formazione del miele – La suzione delle soluzioni (nettare e melata) da parte dell’ape bottinatrice avviene tramite le porzione succhiante dell’apparato boccale, organo costituito dai palpi e dalle galee accostati alla ligula estroflessa a formare la cosiddetta proboscide. La soluzione assorbita viene raccolta nella borsa melario o sacco melario. L’azione svolta dall’ape per trasformare il nettare o la melata in miele è profonda e complessa. I componenti del miele sono fondamentalmente gli stessi presenti nella materia prima, che però l’ape arricchisce di secrezioni propria in grado di provocare importanti trasformazioni. Il processo di trasformazione del nettare in miele ha inizio quando la bottinatrice, rientrando all’alveare, passa a un’ape di casa la goccia di materia prima raccolta. La stessa goccia viene poi rapidamente passata da un’ape all’altra e questo processo, che si svolge per 15-20 minuti, provoca la riduzione dell’elevato contenuto iniziale in acqua, grazie all’aria relativamente calda e secca all’interno dell’alveare e all’estesa superficie che occupa la goccia lungo la ligula allungata dell’ape. La goccia ancora per qualche aspetto immatura, è poi collocata negli alveoli dei favi, dove il suo contenuto di acqua viene abbassato tramite un processo di evaporazione all’interno dell’alveare. Questo processo porta a ottenere il miele maturo, cioè con nettare di acqua sufficientemente basso da garantire la stabilità (inferiore al 18%) a questo punto la cella viene sigillata dalle api mediante un opercolo di cera. Durante i numerosi passaggi da un’ape all’altra, oltre alla riduzione del contenuto in acqua, avviene anche un altro importante fenomeno: infatti vengono via via aggiunte (dalle api che prendono parte al processo), secrezioni ghiandolari dotate di diversa attività enzimatica che determinano una serie di trasformazioni chimiche prevalentemente a carico degli zuccheri. In questo senso risulta fondamentale l’azione di un’invertasi, capace di scindere la molecola di saccarosio nei due monosaccaridi che la compongono: fruttosio e glucosio. Complessivamente, quindi, l’azione dell’ape porta a una riduzione del contenuto in acqua mediante evaporazione, fino a un valore compatibile con la conservabilità del miele, a un aumento del tenore in enzimi e a un livellamento dello spettro zuccherino.
Composizione del miele: è notevolmente complessa e occorre premettere che le caratteristiche morfologiche e organolettiche non sono le stesse per tutti i mieli, ma variano a seconda dei seguenti fattori: ubicazione geografica dell’apiario; clima e natura del suolo in cui è collocato l’apiario; origine botanica prevalente della zona; andamento stagionale; razza delle api, ecc. La composizione media del miele è la seguente:
· Acqua: è una delle caratteristiche più importanti del miele, in quanto ne condiziona la conservabilità contribuendo a definire anche la qualità;
· Zuccheri: gli zuccheri costituiscono i principali componenti del miele rappresentano più del 95% della sostanza secca. Il loro elevato contenuto contribuisce in modo determinante a definire numerose proprietà fisiche e alimentari del miele: la vischiosità, l’igroscopicità, lo stato fisico (liquido o cristallizzato), il valore energetico, il potere dolcificante. I due zuccheri più importanti sono i monosaccaridi glucosio e fruttosio che insieme costituiscono circa il 90% degli zuccheri totali. In parte essi derivano direttamente dal nettare, in parte si formano in seguito all’azione dell’enzima invertasi, secreto dalle ghiandole ipogrife dell’ape, che idrolizza il saccarosio contenuto nel nettare o nella melata scindendolo nei suoi due costituenti: glucosio e fruttosio. Nella maggior parte dei mieli, tuttavia i due zuccheri, non si trovano in proporzioni uguali, ma il contenuto in fruttosio è leggermente superiore a quello del glucosio (mediamente si indica per il fruttosio un tenore di circa 40% e per il glucosio di circa 30%), solo in alcuni tipi di miele, avviene il contrario. Si tratta di un dato di grande importanza, poiché il glucosio è relativamente poco solubile in acqua e, di conseguenza un contenuto elevato di questo zucchero determina una tendenza alla cristallizzazione, mentre una maggiore concentrazione di fruttosio, molto solubile in acqua e igroscopico, conserva il miele allo stato liquido;
· Acidi Organici: tutti i mieli presentano una reazione acida, hanno infatti valori di Ph compresi tra circa 3,5 e 4,5 media di 3,9. Gli acidi organici inoltre, partecipano con altri componenti, a definire l’aroma complessivo di un singolo miele;
· Sostanze minerali: il contenuto di sostanze minerali è complessivamente basso, anche se può variare notevolmente, nei diversi tipi di miele, dal 0,02 a 1% circa. L’elemento maggiormente rappresentato è il potassio che costituisce la metà o i ¾. Sono inoltre presenti zolfo, cloro, sodio, calcio, fosforo, magnesio, silicio, ferro, manganese, rame. La quantità di Sali minerali è in relazione con il colore del miele. Infatti, sebbene il colore dipenda da fattori in parte ancora sconosciuti, generalmente i mieli chiari sono poveri in sostanze minerali, mentre quelli più scuri, in particolare il miele di castagno ne sono più ricchi;· Sostanze varie: tra cui amminoacidi, tracce di vitamine, enzimi (invertasi, amicasi, ecc) tracce di polline, fattori antibiotici, gomme, destrine, ecc.
Proprieta' fisiche del miele: sono strettamente connesse con la sua composizione chimica: gli zuccheri e l’acqua, i costituenti principali del miele, condizionano ad esempio, indice di rifrazione, cristallizzazione, densità e igroscopicità, mentre i Sali minerali determinano il valore di conducibilità elettrica.
· Indice di rifrazione: la sua determinazione viene utilizzata per conoscere il contenuto in acqua del miele;
· Viscosità: inversamente proporzionale alla temperatura;
· Igroscopicità: il miele, posto in un luogo umido senza protezione, assorbe umidità, è importare quindi che venga conservato in ambienti con umidità bassa, non superiore al 60%;
· Calore specifico e conducibilità termica: il miele ha una bassa conducibilità termica e quindi un cattivo conduttore di calore;
· Colore: molto variabile in relazione all’origine botanica; spazia dal giallo paglierino (acacia), al bruno scuro, quasi nero (castagno);
· Cristallizzazione: il miele cristallizza più o meno rapidamente, in funzione della temperatura (ottimale a +14°C) e dal rapporto glucosio/levulosio. Direttamente proporzionale al detto rapporto; più esso è elevato più rapidamente avviene la cristallizzazione: C>1 cristallizza, C<1 liquido. La cristallizzazione modifica solo l’aspetto, ma non ha influenza alcuna sulle caratteristiche del miele, al contrario di quanto avviene per la pastorizzazione (riscaldamento) che, al fine di distrugge i cristalli di glucosio e rendere quindi il miele stabilmente liquido, ne denatura gli enzimi e le vitamine contenute;
· Consistenza: da liquida (acacia) o cristallina (colza);
· Peso specifico: 1,4;
· Umidità: 18-20% in media. Se il miele viene estratto quando non è ancora maturo, contiene una quantità d’acqua superiore al 20% è può fermentare. La fermentazione alcolica trasforma gli zuccheri in alcool, liberando anidride carbonica. Il miele non è più commestibile. Tuttavia il miele fermentato è privo di tossicità. Può essere usato per la produzione di idromele;
· Acidità: variabile tra 3,5 e 5 ph;
· Solubilità: in acqua;
· Sapore: dolce e aromatico (alcuni mieli sono amari).
Proprieta' ed impiego – La composizione del miele, che comprende glucosio e fruttosio associati ad acidi organici, Sali minerali, enzimi, aromi e tante altre sostanze, né fa un alimento unico e del tutto particolare. Il miele è un alimento glucidico a elevato potere energetico. Fornisce 320 calorie/100g contro le 400 circa del saccarosio o zucchero da cucina. Essendo poi composto prevalentemente da zuccheri semplici (glucosio e fruttosio) presenta una facile digeribilità. Il glucosio infatti entra direttamente in circolo e viene quindi utilizzato immediatamente, mentre il fruttosio è consumato più lentamente e funziona da riserva energetica in quanto, prima di essere utilizzato dall’organismo, deve essere trasformato in glucosio. La metabolizzazione avviene esclusivamente a livello epatico. Il miele offre dunque un immediato apporto energetico, senza richiedere un processo digestivo e quindi senza appesantire lo stomaco. Tra gli alimenti energetici, occupa il primo posto nell’alimentazione dello sportivo: prima di una gara, di un allenamento o comunque prima di uno sforzo fisico accresce l’efficienza muscolare e la sostiene nel tempo. Per lo stesso motivo è indicato nell’ alimentazione geriatrica e nella dietetica dell’età scolare, come in tutti i momenti in cui è elevato il fabbisogno energetico. La presenza, accanto agli zuccheri semplici, di Sali minerali, enzimi, sostanze aromatiche e oligoelimenti, contribuisce ad aumentare le potenzialità nutritive del miele. In generale comunque, consumato come miele da tavola, come dolcificante delle bevande o in cucina, è consigliabile l’introduzione del miele nella dieta quotidiana di ciascuno. Il potere dolcificante del miele è elevato, superiore a quello del normale zucchero da cucina. Ponendo a 100 il potere dolcificante del saccarosio, quello del fruttosio 173 e quello del glucosio 74. A livello dietetico permette quindi di realizzare un piccolo risparmio calorico.
Liquido o cristallizzato, millefiori o unifloreale, di sapore delicato o intenso, , dolce, floreale, fruttato, erbaceo, pungente, amaro, ciascuno ha la possibilità di scegliere secondo il proprio gusto. Inoltre il miele ha proprietà terapeutiche rilevanti ed è di conseguenza raccomandato in varie patologie: disturbi dell’apparato respiratorio, circolatorio e digestivo, sul fegato, sulla dentizione dei bambini favorendo la fissazione del calcio.

mercoledì 12 maggio 2010

Apis mellifera caucasica


Si dice che l'Apis mellifera caucasica provenga dalle alte valli delle montagne del Caucaso centrale, mentre gli apicoltori della Georgia affermano il contrario


Anatomia e aspetto:
Forma e dimensione: analogo a quello A. m. carnica
Colore della chitina: scuro, a volte con macchie brune
Colore dei capelli o peli: grigio piombo
Lunghezza lingua: fino a 7,2 mm (una delle più lunghe tra le razze della specie)
Ape Regina: è molto più lunga rispetto alle api operaie; la sua lunghezza corrisponde a 18 - 20 mm
Peso Ape Regina: 0,25 g - peso ape operaia: 0,10 g -  peso maschio o fuco: 0,20 g

Comportamento:
Benefici per l'apicoltura; le colonie raggiungono piena vitalita' o forza in piena estate, che è positivo per le zone dove il flusso di nettare è più alto  a metà estate e in autunno; capacità di impollinare il trifoglio rosso; capacità di raccogliere il nettare dai fiori che richiedono una  lingua piu' lunga; convivenza naturale delle regine;  è in grado di lavorare in settori freschi e umidi  come nebbia e pioggia leggera.

Danni per l'apicoltura:
le colonie non raggiungono tutta la loro forza vitale fino a metà estate, che è una caratteristica indesiderabile per le aree con il più alto flusso di nettare in primavera; l'utilizzo elevato di propoli può essere visto come indesiderabile in quanto rende più difficile la gestione dell'alveare. Cornici e scatole nell'alveare sono incollate insieme in modo più sostanziale; nei climi nordici a causa del Nosema è piu' facile assistere a svernamento.

 

venerdì 7 maggio 2010

valutazione del sistema colinergico con l'IR per la ChAT prodotta dall'ape

MC (microscopio confocale)-IR (immunoreattivita') per la ChAT (colinoacetiltransferasi) prodotta dall'ape, pretrattata con 1/100.000 Moli di IMIDACLOPRID; si aggiungono alla sezione alcune goccie di una Ig (immunoglobulina=proteina) denominata antiChAT che riconosce la sua molecola bersaglio: la ChAT dell'ape; si aggiunge in seguito un'antIg (antimmunoglobulina) chiamata Antirabbit FITC che riconosce l'antiChAT; il complesso immunoistochimico ChAT ape - antiChAT - Antirabbit FITC determina al MC una colorazione verde chiara intensa che indica la presenza della ChAT prodotta dall'ape.
Fotografia superiore sinistra: si osservano gruppi di fibre muscolari striate con sarcomeri in sequenza: alcune zone si presentano ChAT positive; a destra si osservano cellule dal grande nucleo e cellule endoteliali rivestenti dotti vari.
Fotografia superiore destra: si riscontrano cellule endoteliali rivestenti dotti di vario diametro e cellule dal grande nucleo agglomerate in gruppi; a livello del tessuto endoteliale ristrettissime zone risultano ChAT positive.
Fotografia inferiore sinistra: si riscontrano, nell'occhio composto, ommatidi rigonfi dell'enzima ChAT prodotti dall'ape, importante riscontro dell'effetto del veleno IMIDACLOPRID.
Fotografia inferiore destra: si osserva un ocello dell'ape ChAT positivo.
Dipartimento DIBIO Universita' di Genova (2008-2009).