martedì 27 aprile 2010

Galleria melonella, una tarma della cera nociva per l'Apis mellifera

Ritenuta un tempo un pericoloso parassita dell'ape, capace anche di distruggere alveari, oggi la sua azione è stata ridimensionata e, quale spazzina, persino rivalutata. Soltanto i favi immagazzinati, se hanno contenuto di covata, possono essere seriamente danneggiati dalla sua azione. Fra i moltissimi insetti che vivono nell'alveare in simbiosi con le api oppure parassitizzandole o ancora cibandosi di miele, polline, cera, detriti, un posto di rilievo ha sempre avuto la tarma maggiore della cera, Galleria mellonella L. Spesse volte, soprattutto in passato, al suo intervento si attribuiva l'indebolimento se non addirittura la scomparsa di interi alveari con successiva distruzione dei favi e danneggiamento dei telaini ed arnie. In realtà, nei climi temperati, la tarma della cera è ben contenuta dalle api e dai suoi nemici naturali per cui non causa danni negli alveari, se non quando questi sono troppo deboli o ammalati, ed allora il suo intervento può soltanto contribuire ad accelerare l'estinzione della famiglia. L'attività della tarma deve pertanto considerarsi anche utile, in quanto contribuisce all'eliminazione di favi abbandonati che possono costituire focolai di infezione di molte malattie delle api. La sua presenza è però senza dubbio nociva nei favi immagazzinati dove può causare gravi danni e dove, per questo motivo, deve essere combattuta.
Sistematica della Galleria melonella.
Appartiene alla superfamiglia Pyraloidea, comprendente lepidotteri di piccole e medie dimensioni (15-40 mm di apertura alare), con antenne filiformi e zampe sensibilmente lunghe, ali anteriori strette e allungate e posteriori più larghe e provviste di frenulo; l'apparato boccale è molto sviluppato. Le larve, nude o seminude, provviste di zampe toraciche e di cinque paia di pseudozampe, presentano comportamenti e regimi dietetici vari, nella maggioranza sono fitofaghe; abitudini trofiche particolari presenta invece G. mellonella che appartiene alla famiglia Galleridae.
Biologia
Le uova sono di colore giallo-biancastro ed hanno forma quasi sferica, sono strettamente incollate le une alle altre e posizionate in diverse linee combacianti in modo da formare così una placca. Vengono deposte preferibilmente in fenditure molto strette; questo accorgimento garantisce loro una difesa nell'alveare in quanto non possono essere rimosse dalle api operaie e sono protette dall'azione di insetti predatori. Schiudono rapidamente (5-7 giorni) se sottoposte a temperature elevate (29-35°C) mentre a temperature inferiori (18°C) possono impiegare invece più di 30 giorni. Oltre la metà delle uova non è però in grado di schiudere. La larva schiudendo, se in prossimità della cera ne morde tanti piccoli bocconcini che poi rigurgita subito ed il mucchio di palline di cera intorno alle uova è il segno evidente della schiusura delle stesse. Le larvette appena nate sono mobilissime e quindi in grado di allontanarsi alla ricerca di cibo. Dopo la prima fase di vagabondaggio, che può durare circa 24 ore, la larva comincia a scavare gallerie nell'alimento, spingendo gli escrementi verso l'estremità delle stesse. Le gallerie con il compito di difendere le larve dall'attacco delle api operaie, vengono rivestite di seta che è filata in quantità più elevata all'approssimarsi delle mute. Il numero delle mute è, in media otto, ma può modificarsi al variare delle condizioni ambientali (cibo, temperatura, umidità ecc). Allo stesso modo varia il tempo di sviluppo che può durare da 15-20 giorni in condizioni ottimali a diversi mesi se la larva deve affrontare condizioni avverse. Terminato l'accrescimento ponderale della larva si ha l'imbozzolamento, quindi la trasformazione in crisalide ed infine lo sfarfallamento. L'adulto della tarma della cera ha una apertura alare in media di 25-30 mm per il maschio e 40 mm la femmina. Le ali nel maschio sono in genere di colore bruno scuro o castano scuro. La vita degli adulti può durare da pochi giorni, con temperature prossime a quelle degli alveari, fino a oltre un mese con temperature più basse. Gli accoppiamenti cominciano poco dopo lo sfarfallamento e dopo qualche ora la femmina inizia a deporre uova in placche di circa 250. Nell'arco della sua vita la femmina depone mediamente 1.400 uova. Si calcola, però che anche in condizioni ottimali di allevamento circa l'80% delle progenie non concluda il proprio ciclo vitale. All'interno dell'alveare la percentuale di individui che sopravvivono è, poi, estremamente più bassa.
La Galleria melonella nell'alveare
L'adulto appena sfarfallato si allontana dall'alveare e si dirige verso gli alberi. La femmina, al sopraggiungere della sera, quando le api sono meno aggressive, rientra negli alveari per la deposizione. E' attratta dalle famiglie più forti nele quali l'allevamento di abbondante covata garantisce temperature più alte. Solo se una famiglia si indebolisce notevolmente si ha, però, la possibilità di sviluppo di una vera e propria infestazione. E' tuttavia raro che un favo del nido non contenga uova e larve. Se vengono a mancare le api, 10 favi sono in grado di consentire lo sviluppo contemporaneo di anche 5.000 larve. Non è difficile immaginare il potenziale pericolo derivante dalle tarme della cera se le api non fossero capaci di difendersi e se non esistessero limitatori naturali. Tra i problemi causati dalla larva della tarma si può riscontrare, soprattutto in primavera, il fenomeno delle "covata disopercolata", inconveniente provocato con maggior frequenza dalla tarma più piccola, l'Acroia grisella.Talvolta G. mellonella può cibarsi delle larve stesse, più spesso delle pupe, che appaiono così prive del capo e con l'addome forato o troncato. Solo nei paesi a clima tropicale, in cui le tarme compiono anche 5 cicli completi all'anno, si possono riscontrare danni più seri negli alveari.

sabato 24 aprile 2010

l'immagine composita migliora l'osservazione di Apis mellifera al microscopio conofocale

Utilizzando due differenti frequenze determinate da eccitazioni del laser, l'esposimetro del MC (microscopio confocale) le rileva determinado un'immagine composita.
Foto superiore sinistra di immagine composita:  IR (immunoreattivita') per il FMRFamide in ape pretrattata con 1/100.000 moli di IMIDACLOPRID; l'immagine composita evidenzia del tessuto ghiandolare con cellule dai nuclei  di colore blu: una ristretta regione del tessuto indica la presenza della molecola bersaglio prodotta dall'ape, assumendo un colore verde chiaro intenso.
Foto superiore destra di semplice immagine: corrisponde alla precedente, ma non sono evidenti i nuclei di colore blu.
Foto media sinistra di immagine composita: IR per il FMRFamide, con esito negativo, in occhio composto in ape pretrattata con 1/100.000 Moli di IMIDACLOPRID; l'immagine composita evidenzia i nuclei di colore blu dei fotorecettori negli ommatidi, da cui partono piccoli fasci di assoni che raggiungono le cellule bipolari dal nucleo blu allungato, da cui partono altri assoni riuniti in fasci per compattarsi nel nervo ottico che presenta nuclei blu addensati corrispondenti a neuroni intercalanti.
Foto media sinistra di semplice immagine: corrisponde alla precedente, ma non sono evidenti i nuclei di colore blu.
Foto inferiore sinistra di immagine composita: IR per il FMRFamide, in ape pretrattata con 1/100.000 Moli di IMIDACLOPRID, a livello di un dotto da definire delimitato da nuclei di colore blu di dimensioni differenti; contiguo al dotto si riscontra una struttura anulare ansiforme in cui è presente il FMRFamide dell'ape (colorazione verde chiara intensa).
Foto inferiore sinistra di semplice immagine: corrisponde alla precedente, ma non sono evidenti i nuclei di colore blu.

venerdì 23 aprile 2010

Braula coeca, un pidocchio competitore nell'alimentazione in Apis mellifera




Descrizione. L'adulto è di piccole dimensioni, lungo 1-1,7 mm. Il corpo è depresso in senso dorso-ventrale e, visto dal dorso, ha una sagoma ovale e tozza, con capo leggermente più largo del torace ma più stretto dell'addome. Il tegumento è robusto e presenta un folto rivestimento di setole, in particolare sulle parti dorsali di tutte le regioni e sulle zampe. Il capo presenta un particolare sviluppo in larghezza, è prognato e privo di occhi e ocelli, con sutura frontale e sutura fronto-clipeale ben sviluppate ed evidenti. Fronte e clipeo ampi. Le antenne sono brevi e di tipo aristato, inserite quasi ai lati del capo e piuttosto distanziate tra loro; in fase di riposo sono alloggiate in un incavo. Lo scapo è molto piccolo, il pedicello e il primo flagellomero sono subglobosi e approssimativamente delle stesse dimensioni. Il pedicello porta una setola dorsale e numerose setole ventrali più piccole. L'arista è breve e ingrossata, composta da un solo segmento, e si inserisce dorsalmente sul primo flagellomero. Dietro l'inserzione delle antenne sono presenti due macchie oculari, in sostituzione degli occhi, che si presentano come due piccole areole più lucide e sclerificate. L'apparato boccale è di tipo lambente succhiante, con labbro inferiore corto e terminante in due espansioni carnose (labella). Il torace è tozzo e compatto con morfologia semplice per la riduzione del numero di scleriti. Lo scutello è assente e mesonoto e metanoto sono simili ai tergiti addominali. La chetotassi è complessa e non è riconducibile agli schemi tipici dei Muscomorfi; sono particolarmente evidenziate le setole delle due fasce dorso-laterali, che si presentano mediamente più lunghe delle altre, mentre la regione pleurale è glabra. Ali e bilancieri del tutto assenti. Le zampe sono robuste e lunghe rispetto al corpo, con coxe medie e posteriori distanziate trasversalmente e femori ingrossati e robusti. tarsi appiattiti, composti da 5 articoli corti e larghi. Pretarsi con unghie trasformate in pettini, ciascuno composto da 11-16 denti ricurvi, pulvilli evidenti e peduncolati, empodio assente. L'addome è ampio, composto da 5 uriti apparenti. Il primo tergite è fuso con il secondo e, ventralmente, sono fusi i primi due sterniti. Lateralmente sono presenti scleriti pleurali detti laterotergiti, che si estendono fino alla zona latero-ventrale, con conseguente riduzione dello sviluppo in larghezza degli sterniti.
Relazione trofica con le api. L'intero ciclo vitale si svolge all'interno dell'alveare in un rapporto di commensalismo con l'ape: le larve si sviluppano a spese della cera degli opercoli, principalmente nei telaini da miele, gli adulti come cleptoparassiti, in quanto vivono aggrappati all'ospite sottraendogli il cibo direttamente dalla cavità boccale, alla base della ligula. Le larve scavano, nello spessore della cera degli opercoli, una mina filiforme, dello spessore di circa 1 mm, che, con il procedere dello sviluppo, si estende tortuosa interessando più celle. L'alimento è composto da cera, granuli di polline, miele e detriti organici inglobati nella cera.
Danni. La dannosità della Braula coeca si identifica nei seguenti elementi:
La singola ape è irritata dalla presenza delle braule e può essere disturbata nello svolgimento delle sue funzioni in quanto incapace, da sola, di disfarsi degli indesiderati inquilini. Il disturbo causato dalle braule è correlato al numero di individui che si insediano su un ospite. Si presenta perciò particolarmente intenso solo sulla regina, l'unico individuo sul quale può insediarsi un numero elevato di ditteri. La sottrazione dell'alimento dall'apparato boccale dell'ape può provocare uno stato di denutrizione in caso di elevato numero di individui associati ad un ospite. Anche in questo caso i rischi sono concreti solo nelle infestazioni a carico della regina.
Il livello della popolazione delle larve in estate è direttamente correlato alla popolazione di braule adulte svernanti, perciò ad un elevato numero di larve segue, nella stagione successiva, un'infestazione più intensa di braule adulte. Per i motivi sopra esposti, la Braula coeca è, a tutti gli effetti, un'avversità delle api, ma è opinione comune che nell'ordinarietà dei casi i danni economici siano irrilevanti: la braula, infatti, non è un parassita, perciò non danneggia direttamente l'ospite e la sottrazione di alimento non sortisce effetti degni di rilevanza. Il disturbo causato all'ospite ha ripercussioni sul comportamento del singolo individuo, ma nel complesso la funzionalità della colonia non viene compromessa a meno di intense infestazioni. L'entità del danno va dunque messa in relazione con il grado di infestazione e, fondamentalmente, con il numero di braule insediate sulla regina: un elevato numero di inquilini ne provoca uno stato di sottoalimentazione che avrà ripercussioni sulla fecondità della regina o sulla sua stessa capacità di sopravvivenza. La dannosità delle larve va vista invece solo in prospettiva: i danni diretti causati dalle larve sono marginali anche in caso di elevate infestazioni. Massicce infestazioni si possono però considerare preoccupanti, in quanto aumenta la probabilità che gli adulti si possano insediare in numero elevato sulla regina.
Metodi di difesa. La lotta mirata si può eseguire con trattamenti di fumigazione a base di estratto di tabacco: il fumo causa il distacco delle braule, che possono essere raccolte su un foglio disteso sul fondo dell'arnia e definitivamente allontanate dalla colonia. Questi interventi sono giustificati solo quando, in presenza di gravi infestazioni, si prevede un eccessivo indebolimento della famiglia. I trattamenti chimici finalizzati al controllo della Varroa hanno inoltre effetto anche sulle braule.
In sede di prevenzione, la difesa dalle braule si pratica abbattendo la popolazione di larve con semplici accorgimenti: in estate, preferibilmente nel mese di luglio, si rimuovono i telaini, che vengono disopercolati in occasione della smielatura. Con questa semplice tecnica è possibile ridurre il potenziale riproduttivo del braulide nella primavera successiva. Altri accorgimenti, che si collocano in una pratica generica di igiene e profilassi, consistono nella periodica sostituzione dei telai da covata e nell'uso di telai sani.

giovedì 22 aprile 2010

ricerca del FMRFamide nei tessuti della testa di Apis mellifera

Si aggiungono alle sezioni alcune goccie di una Ig (immunoglobulina) denominata antiFMRFamide che riconosce la FMRFamide prodotta dall'ape; in seguito si aggiunge alle sezioni un'antIg chiamata Antirabbit FITC che riconosce l'antiFMRFamide; il complesso immunoistochimico FMRFamide ape - antiFMRFamide - Antirabbit FITC, determina in fluorescenza una colorazione verde chiara intensa che indica la presenza del FMRFamide dell'ape.
Foto superiore sinistra: tessuto ghiandolare in cui è presente la FMRFamide prodotta dall'ape.
Foto superiore destra: ommatidi nell'occhio composto in cui non si evidenzia la presenza di FMRFamide prodotta dall'ape.
Foto inferiore sinistra: in  una struttura anulare ansiforme si riscontra la presenza di FMRFamide prodotta dall'ape; la struttura ansiforme si colloca all'interno di un dotto probabilmente corrispondente al tubo esofageo dell'ape.
Foto inferiore destra: contiguo ad un dotto limitrofe agli apici di due calici, si colloca una piccola regione in cui si evidenzia il FMRFamide prodotta dall'ape.

domenica 18 aprile 2010

Apis mellifera sahariana

L'Apis mellifera sahariana è una delle tre razze che abitano negli apiari del Marocco; l'ape vive nel sud del Marocco, in particolare nel Tafilalet. Questo territorio, con un'altitudine media di 700 m, situato a sud dell'Alto Atlante, lungo il confine tra l'Algeria e il Sahara, ha palmeti irrigati da fiumi che consentono, nonostante il regime supercritico,  il raccolto in queste aree. Il clima caratteristico pre-sahariano è peculiare: coesistono grandi differenze di temperatura tra giorno e notte. L'aria è molto secca, in inverno, si congela in estate, il termometro  facilmente raggiunge i 48 °C all'ombra, con frequenti tempeste di sabbia che bloccano tutte le attività. In aggiunta, periodiche invasioni di locuste portano alla realizzazione di potenti mezzi di distruzione che sono efficaci contro le cavallette, distruggendo anche gli insetti benefici, soprattutto l'Apis mellifera sahariana.
Le risorse principali dell'Apis mellifera sahariana nella  regione sono: la prima palma da dattero e diverse specie di alberi da frutto, mais, orzo, erba medica e legumi vari  per mantenere il bestiame; altre risorse sono le piante d'Eucalipto e il Tamarix. Nel deserto, in alcune zone, crescono le sassifraghe, composti dal duro fiore di trifoglio che forniscono a diverse epoche un importante  produzione di miele di qualità molto buona. 
L'Apis mellifera sahariana è di  dimensione media, molto dolce e paziente.  Il suo mantello è di colore giallo-rosso, simile a quello delle api in Asia Minore; i suoi primi anelli sono di colore rosso-giallo, limitati in alto da un  bordo molto nero; gli ultimi due anelli sono neri, guarniti con capelli gialli. La lingua misura 7,7 millimetri, in media,  fino a 8,2 mm, che potrebbe spiegare la potenza di api bottinatrici e le riserve di miele di grandi dimensioni.





sabato 17 aprile 2010

Ascophera apis, un fungo causa di morte dell'Apis mellifera

L'infezione causata dal fungo (micosi) Ascophera apis determina la covata calcificata. Le spore di questo fungo germinano nello stomaco della larva e da qui il fungo si sviluppa in tutto il corpo. Ascophera apis è quindi in grado di causare la morte dell'ospite subito dopo l'opercolazione o poco prima. La larva infetta si secca e tende ad assumere il caratteristico aspetto denominato in gergo "mummia". Le mummie verdi o nere, contengono milioni di spore che potranno attaccare altre larve della famiglia. Generalmente la covata calcificata è considerata come una patologia secondaria che si manifesta in primavera o in autunno. Lo sviluppo della covata calcificata è facilitato da consistenti cambiamenti di temperatura nelle stagioni intermedie. Tuttavia in alcuni casi, la covata calcificata puo' limitare fortemente lo sviluppo delle famiglie e la relativa produzione. La presenza della patologia puo' ovviamente diminuire il valore di mercato degli sciami.
La cura della micosi da Ascophera apis si attuata  con il farmaco Apiguard con la dose di 25 g, che si attua anche contro la Varroa.
Fotografia superiore sinistra: le larve mummificate assumono un colore nero denso.
Fotofrafia superiore di centro: ingrandimento della precedente.
Fotografia superiore destra: larva normale e mummificata.
Fotografia inferiore: larva in fase di mummificazione.

martedì 13 aprile 2010

Malpigamoeba mellificae, un protozoo causa di morte dell'Apis mellifera

Si manifesta nelle api adulte e ha diffusione e sintomatologia molto simili a quelle della Nosemiasi, in quanto causata anch’essa da un protozoo, il Malpigamoeba mellificae. La malattia colpisce l’epitelio dei tubi di Malpighi, rendendo nulla la loro funzione escretrice. Si trasmette attraverso il miele infetto e l'acqua sporca di abbeveraggio. La cura è la stessa utilizzata nel caso di infezione da parte di Nosema apis.
L'amebiasi inizia quando l'ape adulta ingerisce il Malpigamoeba mellificae localizzato all'interno di una cisti; in seguito varie cisti occupano la regione terminale del ventricolo, dove le amebe fuoriescono dalle cisti per raggiungere i tubi malpighiani (sistema escretorio delle api). Il Malpigamoeba mellificae  utilizza un numero discreto di pseudopodi che intromette nelle cellule malpighiane per nutrirsi e allo stesso tempo le uccide. Dopo tre settimane dall'ingestione delle cisti si sviluppano nuove generazioni di cisti all'interno dei tubi malpighiani, che vengono evacuate con le feci contaminando l'intero alveare.
Facilmente l'amebiasi si esprime nell'ape con la Nosemiasi, con due cicli di vita, uno in primavera e uno in autunno.
Foto: apparato digerente dell'ape e tubi malpighiani riempiti di cisti con all'interno il Malpigamoeba mellificae.

domenica 11 aprile 2010

Acarapis woodi, un acaro causa di morte dell'Apis mellifera

L'acaro parassita Acarapis woodi non è visibile ad occhio nudo. Questo acaro infetta i tubi tracheali del respiro (o trachee) e gli alveoli delle api; di solito è presente in gran numero, e riesce a perforare il rivestimento della trachea nutrendosi dell’emolinfa delle api.
Ciclo vitale
L'acaro femmina entra nel primo spiracolo toracico delle giovani api e depone 5-7 uova, che rimangono ad incubare per 3-4 giorni. La larva ha sei gambe, si sviluppa attraverso una fase ninfale nel maschio adulto in 11-12 giorni o nella femmina adulta in 14-15 giorni.
L'accoppiamento avviene all'interno della trachea con acari sviluppati. Gli acari di femmina gravida  poi lasciano la via  dello spiracolo e si localizzano nelle punte dei peli del corpo dell'ape. Quando un altra ape viene a contatto con l'ospite originale, avviene il cambiamento dell'ospite  e la reinfestazione attraverso lo sfiatatoio.
Metodo di infezione
Gli acari si muovono all'interno dell'apiario, e da un apiario ad un altro, con il lavoro di foraggio e dal movimento delle api e degli sciami; il movimento delle colonie di api causata dagli apicoltori è il fattore principale nella diffusione di questo parassita. Solo le api giovani adulte con meno di 4 giorni sono suscettibili all'infezione, lo stato fisiologico delle api anziane sembra essere un fattore di divieto nell'infestazione di acari tracheali. Gli acari possono essere facilmente trasferiti da un ape all'altra. Sono attratti dalla vibrazione delle ali degli spiracoli toracici.
I sintomi  dell'infezione
Un sintomo comune della colonia di api quando è seriamente infettata da acari tracheali è la nascita di api adulte che strisciano sulla terra o sull'erba intorno all'ingresso dell'alveare. Questo segnale può essere il sintomo di altre malattie batteriche o virali, i cui effetti possono essere evidenziati con l'ulteriore stress causato dalla infestazione di acari tracheali. 
Metodi per individuare la malattia
Per arginare il contagio, decapitare le api adulte  e rimuovere il collare protoracico con un bisturi. Pertanto, è possibile controllare le trachee della regione toracica. Le trachee delle api infette, sono costituite da croste di colore marrone o nero, o completamente nero, a seconda del livello di infestazione. In confronto, le trachee sane senza infezione sono chiare e dalla luce di colore ambra.
Prevenzione all'infestazione dell'acaro
Quando possibile si dovrebbe usare la varietà delle api resistenti agli acari della trachea. E 'noto che le api Buckfast sono altamente resistenti agli acari, mentre le razze della Nuova Zelanda  sono molto suscettibili all'infestazione. La pratica della selezione in apicoltura è quindi, il primo passo da intraprendere per gli apicoltori per difendersi contro questo flagello. In Nord America cristalli di mentolo sono stati utilizzati con notevole successo, anche se le temperature sono relativamente critiche per la sublimazione  dei cristalli, e gli effetti sono variabili. Il prodotto che si chiama Vita APIGUARD ® è stato appositamente formulato per il controllo della varroa e acari tracheali. Diversi paesi hanno raggiunto buoni livelli di controllo contro  l'acaro tracheale con Apiguard.

martedì 6 aprile 2010

un piccolo coleottero: l'Aethinia tumida, causa di morte dell'Apis mellifera


L'ape europea può ospitare vari insetti che possono causare danni alle colonie e tra questi troviamo anche dei coleotteri. Ebbene, uno di questi coleotteri è quello che gli anglosassoni chiamano "il piccolo scarafaggio degli alveari" (PSA); il suo nome specifico è Aethinia tumida. L'Aethinia tumida è indigeno del Sud Africa. L'ape locale, Apis mellifera capensis, mostra con il coleottero in questione un comportamento molto aggressivo tanto che lo scarafaggio non rappresenta un pericolo serio. Nel giugno del 1998 il PSA è stato rinvenuto, per la prima volta, nell'emisfero boreale, più in particolare in Florida, negli USA, dove è divenuto una pericolosa avversità degli alveari. Il movimento delle colonie per il servizio d'impollinazione ha poi favorito la diffusione del parassita in tutti gli stati della costa orientale degli USA, ed ha già distrutto migliaia di colonie. Molti apicoltori all'inizio dell'infestazione hanno avuto modo di ritenere che fosse giunta la fine dell'apicoltura!
Non si sa come il PSA sia arrivato negli USA, ma si ritiene che sia giunto con delle colonie importate dal Sud Africa o con un carico di frutta deteriorata. Mentre nelle sue zone d'origine il PSA distrugge solo le colonie indebolite, altrove può causare danni anche su colonie sane e ben gestite. Il motivo? Le api europee hanno un comportamento meno aggressivo rispetto alle sudafricane.
Danni causati alle colonie di api
Sia le larve che gli adulti mangiano la covata. L'allevamento della covata da parte delle api cessa quando il PSA prende il sopravvento. Le larve del PSA prediligono il polline ed il miele e durante la loro attività di scavo causano gravi danni ai favi, specialmente a quelli nuovi. Durante la loro attività, le larve spargono feci nel miele causandone la fermentazione, accompagnata da un odore nauseabondo. Il miele fermentato non è più utilizzabile dalle api per alimentarsi. Ma non è finita! Il piccolo scarafaggio degli alveari è un insetto scavatore e sotto certi aspetti assomiglia alla camola della cera. Le larve possono causare notevoli danni anche ai favi ed ai melari immagazzinati prima della smielatura, specie se questi contengono anche del polline
Prevenzione all'attacco di Aethinia tumida
Attualmente non esistono modalità di controllo "biologiche". Negli Stati Uniti si usano strisce in pvc a base di coumaphos, mentre il terreno attorno all'apiario è disinfestato con l'utilizzo di pesticidi.
Diffusione del coleottero nel pianeta
La diffusione avviene principalmente con il trasporto di sciami artificiali, pacchi d'api e ultima via, ma non meno importante, con il commercio delle regine; le larve si infilano nel candito e passano nell'alveare con l'introduzione della gabbietta. Più improbabile, ma possibile, la diffusione con il trasporto di frutta avariata
Ciclo biologico del coleottero
Le uova del PSA sono simili a quelle deposte dalle api, ma circa un terzo più piccole, e sono collocate in masserelle. Una femmina depone circa 13 uova al giorno ed in un periodo di tre o quattro mesi arriva a deporre circa mille uova. Normalmente le uova sono deposte nelle cellette che contengono polline o nelle loro adiacenze. Le uova schiudono dopo tre/sei giorni. Una volta nata, la larvetta, di colore bianco crema, passa circa una quindicina di giorni sui favi e circa tre mesi nel suolo. La crescita delle larve è relativamente lenta per giungere ad una lunghezza di circa un centimetro con un diametro di un millimetro e mezzo. Le larve adulte lasciano gli alveari per impuparsi nel suolo. Ad una temperatura costante di 30°C la metamorfosi si conclude in otto giorni. Gli adulti sono lunghi da mezzo centimetro ad un centimetro e mezzo, sono neri, molto attivi, e dopo uno-due giorni sono in grado di volare. Dopo circa una settimana le femmine possono iniziare a deporre. La vita media degli adulti é di circa due mesi, nell'arco dei quali si compiono cinque generazioni.